Educazione cinofila di Carmen Pasquali
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Le origini del cane e gli effetti della domesticazione (La mia Tesi presentata all'esame di abilitazione in Istruttore Cinofilo Moderno Prima parte)

Avere un cane è un’esperienza meravigliosa.

Lo sanno bene quelli che vivono quotidianamente accanto ad una creatura pelosa allegra e scodinzolante a quattro zampe.

Il cane, senza chiedere nulla in cambio, ogni giorno ci regala affetto e buonumore, complicità e condivisione, stima e fedeltà e come se ciò non bastasse, per merito delle sue peculiarità cognitive e comportamentali, il cane dimostra di essere anche un animale incredibilmente empatico ed estremamente

collaborativo, capace di fornirci quell’indispensabile supporto affettivo e relazionale che sempre più spesso viene a mancare nelle grandi società urbane ormai quasi esclusivamente fondate sull’individualismo e sulla competitività.

Queste caratteristiche speciali elevano il cane a ricoprire la carica di “ miglior amico dell’uomo”.

Di questo nostro odierno amico a quattro zampe però, fino a poco tempo fa non conoscevamo molto, soprattutto erano ancora incerte le sue origini e la storia del viaggio che lo ha portato dalla preistoria fino ai nostri giorni.

Oggi fortunatamente abbiamo precise informazioni, basate sulla genetica e sulla paleontologia, dalle quali possiamo ricavare una precisa collocazione storica-temporale nella quale inserire la genesi del cane e risalire, con ragionevole certezza, alle origini biologiche del “canis familiaris”; il primo animale addomesticato dall’uomo

Precisamente, per ripercorrere con certezza la strada che ci conduce agli antenati del nostro cane domestico, abbiamo dovuto ricorrere all’aiuto della biologia molecolare che, attraverso l’analisi del DNA mitocondriale, ha fornito prove indiscusse sulla derivazione del cane moderno.

Vediamo prima in sintesi cosa sono i mitocondri.

I mitocondri sono piccoli organi presenti all’interno delle cellule di tutti gli organismi superiori, nelle quali producono energia per l’attività cellulare; i mitocondri sono le centrali energetiche della cellula utili a molte funzioni quali: “La respirazione cellulare, il trasporto di varie sostanze, il movimento, ecc.”.

La peculiarità del DNA mitocondriale è quella di venire ereditato unicamente per via matrilineare attraverso l’ovulo fecondato, poiché lo spermatozoo ne contiene quantità assolutamente insignificanti.

Questa caratteristica rende il cromosoma mitocondriale un contenitore di caratteri ereditari rigido e costante nel susseguirsi delle generazioni, poiché non è assoggettato alla ricombinazione genetica come avviene invece nel DNA nucleare, il quale tiene presente anche i geni trasmessi dal padre.

In questo modo quindi per stabilire un’esatta discendenza di un individuo, diventa molto facile costruire un albero genealogico attraverso l’analisi del patrimonio genetico trasmesso da un solo genitore; laddove vi saranno minori differenze cromosomiche, altrettanta minore distanza genealogica vi sarà tra gli individui.

Ebbene, l’esame del DNA mitocondriale, ma anche gli studi effettuati sulle cellule DNA nucleare, confermano essere il lupo l’unico antenato del cane domestico.

“Gli albori”

La storia del cane è una bella favola collocata nella grandiosa successione scenografica dell’evoluzione terrestre che i paleontologi hanno ripartito in varie ere geologiche, ognuna delle quali caratterizzata da particolari ecosistemi.

Proprio a questo immenso palcoscenico dobbiamo fare riferimento per raccontare La storia di Fido.

C’era una volta, tanti anni fa, la terra che si stava evolvendo…

Tralasciando le ere geologiche più arcaiche che non prendiamo in considerazione perché non ci interessano sotto il profilo evoluzionistico dei canidi, partiamo da circa 65 milioni di anni fa, nell’era geologica conosciuta col nome di Paleocene (da c.ca 65 a 56 milioni di anni fa), quando giganteschi sconvolgimenti climatici provocarono l’estinzione dei dinosauri che per centinaia di migliaia di anni avevano regnato senza rivali.

 La scomparsa di questi grandi rettili lasciò libere grandissima varietà di nicchie ecologiche, in un ambiente assolutamente privo di competitori e in un habitat adeguato all’incremento della vita dei mammiferi. Così, in un brevissimo spazio di tempo di circa 10 milioni di anni, si verificò una vera e propria esplosione di vita, con relativa differenziazione delle specie.

 La nostra storia comincia a diventare interessante quando tra questi mammiferi, nell’epoca denominata Eocene (dac.ca 55 a 35 milioni di anni fa) per la prima volta comparvero sulla terra degli animaletti appartenenti alla famiglia dei Miacidi, primi carnivori fossili riconducibili ai canidi.

Queste creature apparvero dapprima nel continente americano, circa 50 milioni di anni fa, approfittando anch’esse degli spazi abitativi abbandonati dai rettili, e da lì, durante il corso evolutivo, si diffusero i in tutto il mondo attraverso quello che oggi è chiamato lo STRETTO di BERING.

I miacidi erano degli animaletti a gambe corte, simili agli odierni mustelidi, di corporatura allungata, dove il più grosso aveva l’altezza di una volpe.

Conducevano una vita prevalentemente solitaria e si cibavano di piccoli mammiferi, uova e frutta. Il loro habitat era la foresta pluviale.

Il clima in quei tempi era di tipo semitropicale, caldo e umido e le terre erano ricoperte da una lussureggiante flora di palme, magnolie, mimose, alberi della cannella e della canfora.

Gli altri mammiferi erano ancora piccoli e relativamente modesti come ad es: il toporagno, e vari piccoli mustelidi, quindi l’ambiente in cui vivevano forniva loro cibo in abbondanza.

Proprio a causa di ciò, i Miacidi non avevano necessità di essere agili e scattanti per procurarsi il cibo, infatti, queste creature erano lente e goffe, morfologicamente ben diversi dai canidi odierni, dai quali si differenziavano nella deambulazione, che nei Miacidi, appunto, era plantigrada. (appoggiavano l’intera pianta del piede).

Però,  i  ritrovamenti fossili hanno evidenziato che i miacidi possedevano fin dai tempi arcaici la dentatura tipica dei canidi moderni, presentando già da allora prominenti denti ferini(4° premolare. sup. 1° molare inf.)

Adattati perfettamente a quell’ambiente i Miacidi prosperarono incontrastati per molti milioni di anni...

Il cammino dei miacidi però non fu sempre così roseo.

Più tardi si prospetteranno tempi duri, infatti, proseguendo il cammino e scendendo i gradini della scala temporale che ci porta ai giorni nostri, le trasformazioni in atto degli ecosistemi cominceranno addirittura a minacciare la sopravvivenza di queste creature.

 Una prima insidia fu rappresentata imprevedibilmente proprio da alcuni componenti stessi della famiglia dei Miacidi, infatti, durante il processo evoluzionistico, grazie alla grande plasticità genetica di queste creature, vi fu una prima precoce differenziazione tra i componenti stessi di questa famiglia, che separerà irrevocabilmente ben presto gli uni dagli altri.

Durante il primo processo di adattamento all’ambiente, infatti, alcuni individui della famiglia dei Miacidi, assumeranno caratteristiche filogenetiche tanto diverse, da sfociare poi nella famiglia dei feliformi. Questa diversificazione evolutiva darà luogo alla nascita dei primi competitori naturali dei Miacidi; i Felidi

 Ma vediamo quali altre minacce aveva in serbo la natura per i Miacidi.

 Nell’epoca denominata Oligocene (da c.ca 34 a 23 milioni di anni fa) cominciano a verificarsi importanti mutamenti ambientali che continueranno e sii intensificheranno nelle epoche successive ed andranno ad incidere in maniera sostanziale sull’evoluzione degli antenati del cane. In quell’epoca, il clima,

che all’inizio era ancora caldo, cominciava già a manifestare chiaramente la tendenza verso un raffreddamento globale che portò alla formazione della grande calotta di ghiaccio al polo Sud, con conseguente raggiungimento del livello delle acque dei mari alla soglia più bassa mai registrata nell’intera storia della terra.

Tutto questo sconvolgimento idro-geologico ebbe un impatto notevole sull’intero ecosistema.

La flora che fino allora era costituita da dense foreste tropicali e subtropicali inizia lentamente un processo di sostituzione a favore di terreni boscosi più aperti di alberi decidui, di pianure e deserti.

Contemporaneamente in varie regioni geografiche incomincia a costituirsi la savana.

 Col susseguirsi del tempo comincerà il declino delle foreste tropicali e i mari poco profondi come ad esempio il mar mediterraneo si ritireranno ulteriormente lasciando emergere molti ponti continentali che unirono i vari continenti (EUROPA e AFRICA, ASIA e AMERICA).

Nel racconto della nostra storia, la più importante di queste terre emerse, fu l’istmo che si formò dove attualmente c’è lo stretto di Bering. Questo ponte naturale, permise nell’epoca denominata oligocene ( c.ca 34 a 23 milioni di anni fa) la migrazione dall’america all’eurasia di molte specie animali, tra cui gli antenati dei canidi.

Il generale ritiro delle acque dei mari lasciò posto ad immense estensioni di terreno che si rivestirono ben presto di praterie costituite per gran parte di erbe graminacee, Le poche foreste rimaste diventarono sensibilmente meno folte, sacrificando le palme a favore di piante molto simili a quelle attuali.

Lo scenario quindi, a questo punto della storia, è molto diverso da quello originale; non più lussureggianti e immense foreste pluviali ma vaste radure erbose, savane e praterie ricoperte di grandi distese erbose. Questo trionfo di praterie e savane, segnerà l’inizio del regno dei grandi felini e dei grandi erbivori. Infatti, le praterie costituirono l'ambiente ideale per lo sviluppo dei mammiferi, potendo offrire alimento a molti più animali che non le foreste.

Naturalmente, grazie all'abbondanza di cibo, in quest'epoca i mammiferi si diversificarono in numerosissime forme dirette antenate di quelle attuali, ( precursori di maiali, rinoceronti, giraffe cavalli, orsi, cervi ecc).

Cosa succede in un habitat così diverso?

La vita negli spazi aperti pone nuovi problemi agli animali e la pressione selettiva favorisce un’altra tipologia di individuo.

Le graminacee, dalla consistenza più dura, sono difficoltose da digerire rispetto alle proteine delle foglie, per cui la dentatura e il sistema digerente di chi se ne ciba deve adeguarsi.

E’ assodato che per trarre sostentamento ed energia da materie prime povere di proteine come l’erba occorre un intestino più lungo di quello dei carnivori, quindi oltre all’intestino, la selezione naturale obbligò gli erbivori ad ampliare anche la massa corporea che lo racchiudeva. Nel tempo perciò, gli animali assunsero dimensioni più imponenti. Inoltre, negli spazi aperti, tanto i predatori quanto le prede risultano più visibili; per questo, la maggior parte degli erbivori acquistò caratteristiche di veloce corridore, e i loro predatori svilupparono strategie molto raffinate di appostamento per tendere agguati produttivi.

I Miacidi pochi milioni di anni dopo la loro diffusione si trovano così a vivere in un ecosistema completamente diverso da quello originale, e in continua trasformazione, che li costringerà a compiere una svolta evolutiva che costituirà il seme da cui, dopo molti milioni di anni, germoglierà il cane.

 Una prima spinta in tal senso fu provocata proprio dai “vicini di casa” dei Miacidi.

Abbiamo visto precedentemente che i primi diretti competitori dei Miacidi furono gli antenati dei felidi, a cui, come se ciò non bastasse, nel periodo chiamato Miocene (c.ca da 22 a 5 milioni di anni fa) si aggiunsero altri temibili antagonisti naturali; le scimmie antropomorfe, antenate dell’uomo.

Tra tutti questi concorrenti esisteva un'inevitabile rivalità per il cibo.

Facendo il punto della situazione, i Miacidi oltre alle condizioni ambientali completamente avverse, si trovano a dover fronteggiare dei competitori altamente specializzati per vivere in quell’habitat; gli antenati dei felidi erano abilissimi nel tendere agguati e a catturare prede e le scimmie antropomorfe, dotate di pollice opponibile, erano assai abili a procurarsi il cibo e ad arrampicarsi sui pochi alberi ancora disponibili. 

Furono questi importanti fattori che portarono il Miacide ad adottare una prima strategia adattativa

•          cambiare ambiente

 Il miacide allora durante il suo lento cammino evolutivo, lascia la foresta troppo densa di rivali più abili di lui e sceglie di vivere nelle ampie radure e nelle savane che si andavano formando.

Questa scelta però non si rivelò molto proficua perché la savana era un luogo avverso, dove procurarsi il cibo era un’impresa veramente ardua. 

Infatti, come abbiamo visto precedentemente, nelle praterie e nella savana ora vivono i grandi erbivori organizzati in branchi, prede assai difficili da cacciare per un animale goffo e lento come il Miacide.

La spinta evolutiva costrinse ben presto perciò i Miacidi ad un secondo importantissimo cambiamento necessario per sopravvivere

•          cambiare abitudini alimentari e morfologia.

La dieta da onnivora dovette per forza di cose diventare carnivora e poiché per abbattere le grandi prede, ci vuole una disposizione fisica appropriata, la pressione selettiva favorì l’insorgenza di individui con caratteristiche strutturali molto diverse da quelle originali. I nuovi soggetti presentarono ben presto tronco snello, arti  allungati e movimenti lesti e scattanti ottenuti passando dalla deambulazione plantigrada a quella digitigrada (che prevede una deambulazione sulle dita del piede e non sulla pianta, conferendo così maggior velocità e agilità  nel movimento).

Nel cane odierno, che cammina poggiando al suolo le quattro dita del piede, rimane lo sperone (quinto dito) a ricordo del processo evolutivo.

Questi importantissimi cambiamenti, avvenuti in un lasso di tempo che va da c.ca 50 a 10 milioni di anni fa, portarono il Miacide  a divenire canide.

I primi canidi veri e propri sembrano comparire nel periodo di tempo posto tra la fine dell’Oligocene e il primo e medio Miocene (circa tra i 35 e i 10 milioni di anni fa) seguiti poi, nella linea evolutiva, dagli altri precursori del cane.

 Ecco un quadro che riassume il successivo cammino evolutivo-temporale dei canidi

- Hesperocyon - primo animale riferibile all’evoluzione canina ad avere andatura digitigrada (apparso c.ca 32 milioni di anni fa)

- Leptocyon - simile all’odierna volpe ,originato dall’ Hesperocyon e ritenuto l’antenato comune dell’intera famiglia canoidea. (apparso c.ca 12 milioni anni fa),

- Canis Davisii - antenato comune ai canidi tipo lupo. (apparso c.ca 7 milioni anni fa nel nord america).

- Canis Lepophagus - il più antico rappresentante del genere canis, simile al coyote (apparso c.ca 4 milioni di anni fa)

- Canis etruscus (lupo grigio)- identico ai lupi odierni. (apparso c.ca 700.000 anni fa)

 

“La comparsa dell’uomo”

Quasi contemporaneamente a questo lento cammino che ha portato il miacide a trasformarsi dapprima in canide e poi in canis lupus, circa 7 milioni anni fa in africa ha avuto inizio la storia evolutiva dell’uomo.

Un originario gruppo di scimmie antropomorfe si differenziò in rami diversi che separatamente evolsero nei gorilla, negli scimpanzè e infine nell’uomo.

La teoria evoluzionistica dell’uomo si basa sulla trasformazione corporea e posturale adatta all’inseguimento della preda e alla sua cattura per sfinimento, imposta dalla competizione con altri mammiferi carnivori nell’approvvigionamento del cibo. Si crede che la deambulazione bipede umana  derivi da questa gara esistenziale per la sopravvivenza.

Ma andiamo con ordine

Circa 5 milioni di anni fa sulla terra abbiamo la comparsa dei primi ominidi discendenti dall’australopiteco, progenitori degli esseri umani. Anch’essi come i canidi, sebbene in ritardo di qualche milione di anni, abbandonarono le scarse foreste pluviali che non offrivano più buone possibilità di approvvigionamento di cibo, per vivere nelle tundre o nelle savane.

Dai 2,5 a 1,5 milioni di anni fa nel pliocene fanno la loro prima comparsa i rappresentanti del genere homo. Precisamente:

•          Homo Habilis (apparso c.ca 2,5 milioni di anni fa)

Questi ominide, si ritiene fosse in grado di padroneggiare gli utensili di pietra. Tuttavia non era abile cacciatore  e i suoi primi rudimentali accessori di caccia servivano non tanto per difendersi o uccidere le prede ma per strapparne le carni dalle carcasse.

•          Homo Erectus

Ominide originato dall’Homo abilis (apparso c.ca 1,5 milioni anni fa) e che aveva un’organizzazione sociale più evoluta dei suoi predecessori.

I ritrovamenti fossili ci dicono che l’Homo Erectus costruiva manufatti litici a forma di mandorla lavorati su due facce, come raschiatoi, punte e asce a doppio filo usate per finire le prede. Morfologicamente l’homo erectus subì alcuni cambiamenti nell’anatomia delle vie aeree che permise la fonazione di alcuni suoni gutturali, rudimentali strumenti di comunicazione non ancora però paragonabili ad un linguaggio strutturato.

•          Homo Sapiens

A partire da circa 500.000 anni fa i ritrovamenti fossili testimoniano importanti cambiamenti nello scheletro che sostanzialmente comincia a diventare simile al nostro. Nasce la nostra specie: Homo sapiens

L’Homo Sapiens aveva un cervello sotto certi aspetti ancora primitivo ma aumentavano le capacità di sfruttare gli utensili.

•          Homo Sapiens Neanderthalensis (estinto)

Alcuni ritrovamenti fossili risalenti dai 130.000 ai 40.0000 anni fa rinvenuti in Europa E Asia Occidentale dimostrano che alcune popolazioni di Homo Sapiens seguirono una linea evolutiva diversa diventando Homo Sapiens Neanderthalensis.

Questi ominidi da sempre considerati brutali e rozzi, erano invece individui capaci di provare delicati sentimenti; essi infatti seppellivano i loro morti e curavano i loro malati. Questa linea evolutiva però si estinse; una teoria ipotizza che l’annientamento dei Neanderthaliani possa essere stato causato dalla superiorità tecnologica dell’Homo Sapiens Sapiens.

•          Homo Sapiens Sapiens

La popolazione rimasta in africa migrò verso est, nel medio oriente, (Asia) e circa 50.000 anni fa in questa popolazione cominciarono a manifestarsi chiari segni di superiorità intellettiva che differenzierà gli ominidi arcaici dall’uomo moderno. Nasce Homo Sapiens Sapiens.

Egli usava attrezzi standardizzati, monili, si fregiava di ornamenti fatti di conchiglie ed aveva un culto religioso.

•          Uomo di Cro-Magnon

Comparso in Europa circa 35.000 anni fa, originato dall’Homo Sapiens Sapiens era completamente identico a noi. Capace di usare  lame, armi da lancio e manufatti in osso, costruiva collane con denti di carnivori e lavorava raffinatamente l’avorio.

 A testimonianza di una cultura molto evoluta e raffinata abbiamo ritrovamenti di molte forme di espressione artistica, (pitture rupestri statuette, strumenti musicali). Possedeva inoltre il linguaggio strutturato.

Questi gruppi umani erano prevalentemente nomadi o a sedentarizzazione periodica.

L’economia era prevalentemente incentrata sulla caccia che era svolta dagli uomini e sulla raccolta di frutta erbe e radici, compito di donne e bambini.

Le loro abitazioni da semplici grotte, diventarono capanne, costruite con pelli di animali, o palafitte. In questo periodo i Cro Magnon iniziarono ad avere il completo controllo del fuoco e ad usarlo come protezione dagli animali feroci, come illuminazione e per cuocere cibi.

Avevano uno sviluppo tecnologico superiore a quello dei Neanderthaliani e si suppone che la capacità di addomesticamento del lupo per utilizzarlo come compagno di caccia abbia fatto parte di quella superiorità tecnologica. Su questo punto vi è una recente affascinante teoria secondo la quale Homo Sapiens Sapiens ha potuto avere il sopravvento sull’Uomo di Neanderthal grazie all’addomesticamento del lupo.

Il miacide così, cammina, cammina, sotto vesti di lupo, finalmente incontrò l’uomo per la prima volta.

Infatti, uno degli eventi più significativi del Pleistocene è il “wolf event” ossia la comparsa del canis etruscus, in tutto e per tutto simile al lupo, che appare nel vecchio mondo circa 700.000 anni fa, in concomitanza con l’alba dell’uomo.

La scenografia di questa rappresentazione spettacolare vede il nostro Miacide, che nel frattempo è divenuto dapprima canide e poi lupo, ancora una volta in grande difficoltà nel tenere il passo con i suoi grandi antagonisti.

Ancora una volta perciò per sopravvivere si rese necessario un ulteriore cambiamento adattativo

•          acquisire una struttura sociale; ovvero da animale solitario diventare animale di gruppo.

 Vivere in gruppi sociali comporta degli indubbi vantaggi; si può cacciare con maggior successo, si possono assicurare maggiori probabilità di sopravvivenza alla prole, ci si può difendere più facilmente dai nemici e si può reggere facilmente il confronto con i propri antagonisti.

Però la vita comunitaria richiede in cambio raffinate abilità come ad esempio la capacità di sviluppare una comunicazione più elaborata e strutturata, e di organizzare una società gerarchica complessa.

Il lupo in questo dimostrò di avere grandi doti comunicative e organizzative.

L’uomo parallelamente, allo stesso modo imparò ben presto che vivendo in gruppo si potevano avere maggiori vantaggi; il primo su tutti era che insieme si poteva cacciare in modo più fruttuoso e meno stancante.

 Le due specie erano destinate ad avere un contatto. Era un dato di fatto; Uomo e lupo si stavano diffondendo nello stesso habitat,  cacciavano lo stesso tipo di prede e avevano una struttura sociale che presentava molte similitudini come ad esempio:

•          Entrambe le specie erano societarie, cioè vivano in gruppi. 

•          Si avvalevano del gruppo familiare per guadagnarsi il cibo e per l’allevamento dei piccoli, i quali avendo uno sviluppo lento, rimanevano per molto tempo nel nucleo famigliare.

•          Entrambe le specie erano composte da individui, intelligenti molto adattabili ed aggressivi (per sopravvivere uccidono gli avversari).

•          Entrambe le specie evitavano attentamente di avere scontri o misurarsi in lotte con gli individui dello stesso gruppo, ed erano capaci di sviluppare saldi vincoli affettivi tra i membri dello stesso branco o comunità.

•          Usavano l’aggressività per ottenere o difendere i beni primari (cibo, territorio, prole diritto alla riproduzione)

•          Erano molto comunicative

•          Sapevano riconoscere gli stati d’animo degli altri membri sociali.       

L’evoluzione dell’uomo e quella dei canidi quindi da un certo periodo in poi si svolse contemporaneamente e, sebbene le due specie fossero antagoniste dirette, per un po’ di tempo grazie alla vastità del territorio di caccia ed alla grande quantità di prede disponibili, condussero esistenze parallele, fino a quando, ad un certo punto della storia, partendo da circa 400.000 anni fa le condizioni ambientali mutarono ancora costringendo uomo e lupo ad incontrarsi.

“Uomo e lupo si incontrano”

Generalmente in natura quando coesistono sullo steso territorio due specie antagoniste dirette succede che una delle due o viene allontanata o viene annientata. Tra uomo e lupo invece non andò così; al contrario,  uomo e lupo riuscirono ad integrarsi a tal punto da incidere sulle loro evoluzioni che da parallele si fecero convergenti, trasformandole in COEVOLUZIONE.

Come è avvenuto l’incontro?

1) Una prima ipotesi prevede che alcuni  lupi (forse i meno abili nella caccia, oppure lupi emarginati dal branco e solitari che vivevano al di fuori del branco) potrebbero aver seguito gli uomini per opportunismo, attirati dall’odore del cibo che l’uomo cucinava e dai resti del pasto che l’uomo abbandonava ai confini del villaggio; per i lupi le ossa e le carcasse abbandonate rappresentavano un ottimo alimento che si poteva ottenere senza fare fatica. A loro volta, con molta probabilità, gli ominidi di quel tempo si accorsero ben presto che durante i pernottamenti attorno al fuoco, la vicinanza dei lupi, (caratterizzati da capacità olfattive ed acustiche già da allora di gran lunga superiori alle nostre) procurava loro un ottimo servizio di sentinella, dando l’allarme all’avvicinarsi di predatori comuni.

Risulta facile quindi pensare che i nostri predecessori rinunciassero volentieri a qualche boccone del loro cibo per offrirlo ai lupi con lo scopo di farli rimanere vicino ai loro accampamenti.

Inoltre facendo un salto temporale in discesa di qualche migliaia d’anni collocandoci nel periodo culturale chiamato Epipaloelitico o Natufian, 12.000 anni fa, assistiamo ad un ulteriore motivo di interesse per il lupo.

L’uomo in quel periodo cambiò radicalmente la strategia di caccia poiché aveva imparato  l’uso della lancia che permetteva maggiori vantaggi rispetto alla clava usata fino ad allora. Invece di affrontare direttamente l’animale da uccidere era molto più sicuro e facile colpirlo da lontano avvicinandolo solo quando era ormai stremato o  morto.

Con questa strategia di caccia nasceva però il problema dell’inseguimento della preda agonizzante, la quale, nonostante fosse ferita, correva molto più velocemente dell’uomo.

Il lupo in questo aveva molte più capacità.

Con un olfatto raffinatissimo e sviluppato era in grado di rintracciare più velocemente gli animali morenti, inoltre l’efficientissimo apparato locomotore gli consentiva di inseguirli agevolmente anche per tempi lunghi ed era in grado di segnalarne la posizione mediante vigorose segnalazioni vocali.

Quindi, quando l’uomo intuì  che quegli animali potevano offrirgli, numerosi servizi,  approfittò delle circostanze,  riuscendo a trasformare un incontro casuale in un'astuta scelta collaborativa.

Dobbiamo pensare però che probabilmente non tutti i lupi si avventurarono vicino agli insediamenti umani , infatti un animale selvatico che accetta la vicinanza dell’uomo deve possedere due caratteristiche fondamentali : minore reattività e minore distanza di fuga.

Solo da questi individui, già preadattati a noi,  in seguito avrà origine il processo di  domesticazione.

2) Un’altra affascinante teoria ipotizza il maternaggio

Gli ominidi che cacciavano i lupi per ricavare cibo e pellicce  possono aver raccolto e portato al villaggio i cuccioli orfani molto giovani  e le donne del villaggio, intenerite dall’aspetto di questi esseri indifesi, (di qualsiasi specie animale si tratti, madre natura conferisce ai cuccioli caratteristiche morfologiche adatte a suscitare tenerezza e mitezza nell’adulto come: testa tonda e sproporzionatamene grande e rugosa,  occhi grandi, muso corto, orecchie pendule, corpo tozzo, equilibrio instabile con andatura goffa) per effetto et-epimeletico si sono prese cura di loro allattandoli al seno, come avviene ancora oggi in certe società tribali nel mondo. Questo fenomeno si definisce “maternaggio” e i cuccioli si dicono”maternati”.

Sotto la spinta istintiva della cura di questi cuccioli è probabile che alcuni di questi vennero allevati e poi accettati nel contesto umano, poiché crescendo si dimostrarono sufficientemente docili per adattarsi alla vita nel gruppo familiare.

 

 “L’Addomesticamento e i suoi effetti”

Fu così che ad un certo punto della storia, alcuni lupi vennero trattenuti  ed inseriti nel gruppo sociale umano. Questi animali, nel tempo si distaccheranno, per carattere ed attitudine, in modo sempre più definitivo dai loro compagni selvatici.

L'uomo quindi senza rendersene conto si fece artefice del primo processo di domesticazione animale, iniziando a selezionare dapprima inconsapevolmente  e poi volutamente, i soggetti provvisti di quelle particolari caratteristiche idonee alla vita domestica:

•          bassa aggressività               (docilità)

•          minima distanza di fuga     (minore paura)

•          bassa reattività                    (tolleranza alla manipolazione e agli stress)

 Inoltre col tempo l‘uomo si accorse che l’addomesticamento poteva avere maggior successo selezionando animali che erano altamente gregari, che avevano abitudini alimentari e territoriali poco specializzate, che erano rapidamente adattabili ai mutamenti ambientali e che avevano un’ottima capacità riproduttiva.

Fu così che, con molta probabilità, nacquero i primi cani addomesticati; inizialmente fu per caso, originati da un gruppo di individui selvatici usciti dal branco originario che si incrociavano tra di loro.

Poi in maniera sempre più intenzionale da parte dell’uomo che selezionava solo soggetti adatti alle sue esigenze.

Volendo soffermarci ad elaborare le circostanze fin’ora vagliate, potrebbe affiorare spontanea una domanda:” perché tra tanti animali l’uomo volle instaurare questo sodalizio proprio col lupo?”

La risposta va ricercata nelle notevoli affinità elettive esistenti tra le due specie (come già esposto più sopra).

Quindi i lupi, per le loro caratteristiche intrinseche, erano soggetti “preadattati a noi”.        

L' addomesticamento è una strategia evolutiva vincente, da cui, come abbiamo potuto vedere nella nostra storia, già da allora, traevano beneficio entrambi i poli.

Nel corso del tempo, mentre la scelta dell’uomo di ottenere cani sempre più idonei alle esigenze addattative della vita domestica si faceva sempre meno casuale e sempre più intenzionale, i lupi addomesticati si andavano differenziando da quelli selvatici non solo nel carattere ma anche in peculiarità fenotipiche che sopraggiunsero di lì a poco: “ Colore del pelo,  forma delle orecchie e della coda, taglia, volume cranico ecc”

Queste variazioni, indotte sia dalla selezione naturale che di quella artificiale, permise al lupo , predatore carnivoro selvatico, di diventare cane, animale integrato per attitudine e morfologia agli usi e costumi della società umana.

Il primo cambiamento strutturale conseguente alla domesticazione del lupo si verificò nella dimensione generale, la quale subì un'evidente riduzione probabilmente causata dalla diversa alimentazione.

In seguito vi furono modifiche sensibili nel cranio dei nuovi soggetti con conseguenti ripercussioni sui segmenti ad essi collegati:

- Muso più corto e largo

- Mandibola convessa

- Comparsa dello stop

- Occhi  tondi e frontali

- Ridotta bolla timpanica

- Ridotto volume encefalico

L’ulteriore cambiamento sostanziale avvenuto nel tempo  che ha differenziato il lupo dal cane, lo dobbiamo ad un evento abbastanza complesso che va sotto il nome di “eterocronia”.

Per capire questo fenomeno dobbiamo riferirci a termini scientifici quali:

*ontogenesi = insieme dei processi di sviluppo di un organismo, dall’ovulo, all’embrione agli stadi successivi fino alla formazione dell’individuo adulto

*filogenesi = evoluzione delle varie specie, animali o vegetali attraverso i secoli.

Il fenomeno dell’eterocronia.

Dal greco “eteros”= diverso  “cronos” = tempo

È un termine coniato da Hernst Haeckel (1872) per definire tutti quei fenomeni anomali (anticipi, salti, ritardi) che nel corso dello sviluppo di un organismo(ontogenesi) impediscono di ricapitolare* precisamene il cammino evolutivo del gruppo di appartenenza. (filogenesi)

*Legge della ricapitolazione

Ciascun individuo nel corso dello sviluppo ontogenetico deve obbligatoriamente riattraversare per quanto rapidamente tutte le tappe della sua filogenesi (Karl von Baer 1938)

L’eterocronia è una mutazione di alcune sequenze di DNA deputate al controllo delle regioni regolatrici dell’espressione genica di un organismo, rispetto allo schema filogenetico della specie di appartenenza.

Ovvero, variazioni nel tempo e nella durata e nel grado di attivazione di certi geni regolatori dello sviluppo, possono portare ad accelerazioni o rallentamenti nella maturazione di alcune parti dell’organismo (o dell’organismo intero) rispetto ad altre.

L’eterocronia potrebbe essere alla base delle rapide variazioni morfologiche prodotte dall’uomo nelle razze odierne.

Per spiegare meglio il fenomeno e per potere capire come possono aver tratto origine razze totalmente diverse nella morfologia e nell’attitudine, è necessario addentrarsi in un mondo un po' più complesso.

I geni codificano l’intero individuo. 

I geni che lavorano per costruire di un organo non lavorano da soli ma insieme ad altri geni strettamente correlati tra loro che contribuiscono all’edificazione non solo di quel determinato organo ma anche di tutta la struttura che lo fa funzionare.

Un determinato gene lavora sempre insieme ad un esercito di altri geni concatenati tra loro in maniera estremamente complessa.

Durante lo sviluppo ontogenetico di un organismo può accadere che alcuni geni regolatori dello sviluppo determinino per esempio, una riduzione nei tassi di sviluppo di un individuo in modo tale che l’individuo passi attraverso minori stadi di crescita rispetto al suo progenitore,  somigliando da adulto ad un giovane dell’antenato da cui deriva. Questo fenomeno si chiama pedomorfosi (adulti che ricordano gli stadi giovanili dei propri antenati)

Per spiegare meglio il fenomeno, possiamo dire che questo blocco potrebbe avvenire ad esempio ad uno stadio immaturo del discendente (cane) equivalente alla forma di un adolescente dell’età di 8 mesi dell’antenato (lupo). Si avrà come prodotto un cane che da adulto avrà l’aspetto di un adolescente di lupo di otto mesi e che manterrà nella sua vita moduli comportamentali giovanili dell’ancestrale.

La pedomorfosi procede attraverso due processi

1) accelerazione della maturazione delle gonadi (progenesi)

2) rallentamento della maturazione somatica rispetto al raggiungimento della maturità sessuale ( neotenia)

Questi fattori determinano nell’individuo derivato, sia tratti somatici riferibili ad un giovane dell’antenato, (lupo) sia il mantenimento nell’età adulta di comportamenti di richiesta di cura.

Il termine NEOTENIA significa permanenza nel discendente adulto (cane) di caratteri fisici e mentali più o meno infantili(secondo lo stadio di appartenenza) rispetto all’individuo ancestrale con sviluppo completo (lupo).

 Siccome i geni sono strettamente correlati tra loro, le mutazioni che stravolgono lo sviluppo di un organismo (eterocronia) potrebbero avere influenze dirette anche sui tratti somatici fenotipici.

 In natura l’eterocronia accade in maniera del tutto casuale e spontanea, ma da molteplici studi effettuati si ricava che questo fenomeno nell’evoluzione del cane potrebbe essere stato influenzato e in un certo senso favorito dall’intervento selettivo artificiale portato avanti dall’uomo.

Infatti, si pensa che il blocco pedomorfico di sviluppo nel cane sia da imputarsi principalmente alle variazioni di certi parametri endocrini che corredavano l’individuo idoneo alla domesticazione.

Uno dei principali fattori in un processo di domesticazione di un animale è l’avere determinate caratteristiche:

- bassa aggressività,

- minore distanza di fuga, 

- ridotta  reazione allo stress

partendo da queste peculiarità imprescindibili dell’ancestrale primitivo incrociato, si sono ottenute modificazioni sostanziali nei parametri fisiologici ormonali dei discendenti.

Queste variazioni biologiche, mantenute costanti nel tempo attraverso la selezione artificiale (portata avanti dall’uomo del Neolitico che manteneva all’interno del villaggio solo i soggetti più docili), nel tempo, hanno dato luogo alla comparsa di salti temporali nello sviluppo ontogenetico (eterocronia) tali da impedire la ricapitolazione del cammino evolutivo del gruppo di appartenenza (filogenesi).

Queste bizzarrie filogenetiche hanno prodotto nel tempo cambiamenti sia fenotipici che genotipici quali:

•          forte decremento della produzione di endorfine e degli ormoni che presiedono all’accentuazione delle sensibilità psico-motorie necessarie ad affrontare situazioni ostili

•          ridotte dimensioni del cervello

•          ridotte capacità percettivo sensoriali

•          comparsa di caratteristiche morfologiche assenti fino ad allora: riduzione del cranio, espressione infantile, muso corto, cranio rotondeggiante, stop, denti più piccoli , taglia ridotta, comparsa di macchie bianche code arrotolate, orecchie pendule, abbaio ecc.

•          mutazioni a carico dei colori

A conforto di questa teoria possiamo riferire quanto occorso al genetista russo Dimitri Belyaev il quale lavorando in un allevamento di volpi argentate da pelliccia per selezionare individui più mansueti e docili alla manipolazione e al contatto umano,vide che in poche generazioni, nelle volpi selezionate in base alla mitezza caratteriale, comparvero particolarità completamente assenti nel ceppo selvatico: orecchie pendenti, macchie bianche, code arrotolate o frangiate, riduzione del volume cranico, ciclo estrale bimestrale, abbaio. 

Vediamo così che nella nostra storia non fu solo la natura a plasmare il cane, ma l’intervento dell’uomo fu fondamentale; originariamente selezionò solo soggetti con determinate caratteristiche comportamentali, poi, quando si avvide che anche l’aspetto esteriore mutava, si circondò di quei soggetti che esteticamente mantenevano da adulti caratteri morfologici neotenici (testa tonda, stop marcato, occhi grandi, ecc ).

Fu così che dall’isolamento di una piccola popolazione selvatica originale, l’Homo Sapiens diede lentamente inizio ad una nuova specie; il CANIS Familiaris, primo animale addomesticato dall’uomo.

Fine prima parte

Carmen Pasquali

Istruttore Cinofilo Moderno - Well Dogs

 

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